INDETERMINAZIONE DI UNA BIC

di Nicola Tella 

Talvolta, guardando una penna a sfera, ci si meraviglia di quanto questo onnipresente oggetto sia relativamente giovane. L’umanità partecipava alla conquista dello spazio, guardava programmi tv in mondovisione ma ancora scriveva brandendo un’elegante ed arcaica penna stilografica quando non era  addirittura costretta a macchiarsi le dita con un pennino. Spedire una sonda nello spazio e scrivere ancora usando il calamaio, appare una strana discrasia, una buffa contraddizione rispetto allo sviluppo del Novecento, il secolo della velocità e del pragmatismo. Nel secolo breve, l’innovazione della scrittura rapida fa capolino quando ormai da decenni la vita quotidiana si confronta con altre velocità, quelle delle comunicazioni e degli spostamenti.

L’idea di rappresentare in forma iconica la penna a sfera nasce forse proprio da questo: la necessità inconscia di recuperare un ritardo  ratificando e celebrando l’esistenza di un oggetto tanto universale quanto discreto. Un oggetto che, diffusosi in senso globale, sta già probabilmente vivendo il proprio declino, ora che la velocità dello scrivere è sostituita dall’istantaneità del digitare.

Queste penne, queste rappresentazioni di penne Bic, si articolano in parametri fortemente geometrizzati, su fondi neutri, come se ciascun singolo oggetto o gruppo di oggetti necessitasse di un inquadramento per affermare la propria singolarità di fronte all’osservatore. Ma tale inquadramento non ha valore di cornice, è  una sorta di estrapolazione di uno spazio indefinito in cui le penne ed i loro cappucci si distribuiscono, si accumulano, si sparpagliano oppure di dispongono in fila. La posizione delle penne, pur nella decontestualizzazione, rimanda sempre però ad una presenza umana che tali penne ha mosso, utilizzato, gettato e talvolta anche deformato in un capriccioso quanto divertente tentativo di antropizzazione.

Sul piano del segno, il gesto veloce e nervoso della scrittura-lampo, associabile alla penna a sfera, è contraddetto dalla tecnica con la quale l’oggetto stesso viene rappresentato, una tecnica grafica certosina, meticolosa che esige tempi posati. Tali gesti rallentati che si concentrano sulla perfetta resa del particolare, sul chiaroscuro, sullo sfumato, già di per sé vengono a porsi in antitesi grafica col segno graffiante e filiforme della Bic, se poi un tale tipo di lavoro è rivolto alla rappresentazione proprio di una penna a sfera, anzi della penna a sfera per antonomasia, allora il gesto si arricchisce di valori concettuali. Così, l’idea di iconizzare la Bic attraverso la Bic, e di farlo in senso graficamente virtuosistico, indirizza lo spunto iniziale freddamente rappresentativo verso una dimensione emotiva, calda, umanizzata, pazientemente nutrita da un calligrafismo amorevole e metodico. La Bic, rappresentata in quanto simbolo del superamento degli arcaici strumenti di scrittura, è paradossalmente usata proprio come un antico pennino: questa scelta cancella le premesse instaurando un cortocircuito per il quale lo strumento d’indagine mette in discussione la natura di ciò che viene indagato. Chissà se, osservando questi lavori, vediamo rappresentata la Bic nella sua immanenza o ci viene più sottilmente mostrata la trascendente capacità dell’oggetto di mostrarsi per ciò che esso non è. Un fatto è certo: dopo una tale raffinata qualità di osservazione ed una così provocatoria scelta di rappresentazione da parte dell’artista, questo piccolo oggetto non è più lo stesso. Sarà per il noto principio di indeterminazione di Heisenberg che l’osservazione ha modificato il fenomeno?